lunedì 22 giugno 2009

VENTO (87)


Vento,
nelle viscere penetrar ti sento,
la tua carezza allegra
ritempera le membra intorpidite,
m'arricci i peli delle nude braccia
e delle gambe, spoglie per l'estate,
mi solletichi il collo, ed i capelli,
quegli ultimi rimasti, li scompigli;
salutare massaggio.

Spazza e rinfresca l'aria il tuo passaggio;
del panorama, nitidi i contorni
come non mai dipingi.

Batufoli d'ovatta dall'azzurro
con violenza sospingi
come volessi decontaminare
quel soffitto celeste
che raramente così terso appare.

22-06-2009

domenica 21 giugno 2009

L'ULTIMO VIAGGIO (86)


ai miei gentori

Quante volte ho pensato a quel giorno,
quello di cui mai più si fa ritorno,
l'ultimo viaggo per voi, ed io lì accanto;
chissà se avessi pianto, mi chiedevo.

L'intera vita uniti,
a distaza di poco
ora siete partiti,
uniti come prima anche in quel loco.

Ho pianto dentro me, certo che ho pianto,
ma non un pianto di disperazione;
la Morte col suo manto
s'aspetta a volte con liberazione.

Era da tempo attesa,
da anni stava intorno
che è venuta senza la sorpresa.

Non voleva incontrarla il babbo, forse,
n'avrebbe volentieri fatto a meno;
quando lui se n'è andato
è stato per te grande sollievo,
per te, che avevi sempre pregato
che non restasse solo,
poi, hai staccato la spina della vita,
quella vita da tempo già finita
cui t'aggrappavi con mani e coi denti
nonostante gli stenti,
pensando solo a non lasciarlo solo.

Dopo ti sei arresa,
hai fatto in modo d'accorciar l'attesa
per tornare da lui;
hai smesso di pregare,
questo serve per chi vuole restare.

Or siete là uno all'altra vicini,
nella serenità dell'infinito
con mano nella mano; due bambini
d'un tempo che ormai s'è scolorito.

08-04-2004- da: Ricordi d'Amore


VERITA' BOIA (85)


Arrenderti non vuoi !
Arrenderti non puoi !
Arrenderti pur devi all'evidenza.

Verità boia......

Trancia la mannaia
ogni dubbio residuo.

Intorpidita la mente
da giudizi faziosi e preconcetti
si nutriva
del comodo inganno.

Tornata di cristallo
in profondità
ora rispecchia la ferita.

21-06-2009
da: Insieme

LA RESA (84)


La burrasca improvvisa
ci ha spogliati
delle nostre certezze.

Più niente è scontato;
niente...
forse neppure il passato.

E' una belva il futuro
che ci tende l'agguato.

Niente... Niente... Niente...

Ci arrendiamo al presente.

21-06-2009
da Insieme

sabato 20 giugno 2009

LUCE RITROVATA (83)


TRAGEDIA SCAMPATA

Credi sia facile trattener la rabbia
quando, impotente,
stai nelle mani di gente incompetente,
e, vedi l'imbarazzo d'altra gente
che solidarizzar con te vorrebbe
ma, subalterna di grado
esporsi non gli è dato?

Tu, lo senti, d'istinto,
che qualcosa va storto,
non sai cos'è
ma te ne sei accorto,
ascolti ogni sussurro,
ogni parola
come un proiettile sparato da pistola
ti colpisce all'orecchio.

Hai le gocce nell'occhio
(il solo che ti resta)
dalle otto;
s'è fatto mezzogiorno,
t'hanno chiamato
per mettere altre gocce.

Finalmente al reparto.

Tre "specialisti":
- Io non vedo niente!-
- Eccolo il foro nella retina!-
- Il laser!?-
- Ha un occhio solo!-
- Appunto!-

L'indecisione è come una tortura,
quanto preferirei la ghigliottina!-

Rimpallo di parole:
- Ci vuole l'intervento!-
- No! Non è necessario!-
Dopo infinite manipolazioni
l'occhio è diventato un pomodoro;
ecco il responso:
-Signore si riguardi,
si tenga sotto controllo,
faccia attenzione se peggiora!-

Vigliacchi!
Hanno avuto paura!?
Ora lo senti,
te ne sei reso conto.

Per trovare uno che ci capisca
andresti in capo al mondo.
T'assiste stavolta la fortuna.

-Prego s'accomodi,
vediamo,
Ahi! Bisogna intervenire!
E' rischioso, capisco
ma l'intervento si rende necessario!
Preparo il laser,
vedrà ce la faremo!-

Dieci minuti e tutto è terminato
- E' andata bene, siamo stati bravi!-

Non è possibile
in un caso come il suo
il non intervenire.

La luce è ritornata.

17-06-2009
mandato con urgenza all'ospedale Oftalmico
per un foro alla retina veniva rispedito a casa
con la raccomandazione di stare attento che non
peggiorasse la situazione; come a dire -Se resti
cieco allora ritorna- Questa non vuole essere una
poesia ma una denuncia di come il cittadino è
trattato in certe strutture pubbliche. Purtroppo,
accanto a persone responsabili e coscienziose,
coloro che devono prendersi una responsabilità
preferiscono fuggire.

da: Insieme


LA CASALINGA (82)


Filastocca non sciocca

Appena filtra dell'alba il chiarore
tra le fessure della tapparella,
m'alzo in silenzio, senza far rumore
ad iniziare la giornata novella.

Per prima cosa mi faccio un buon caffè
poi, scaldo il latte per il mio marito,
i bambini preferiscono il thè,
ed ecco lui che s'alza insonnolito.

Mangia, si veste, parte in tutta fretta,
sveglio i bambini per portarli scuola,
già fan le storie, non mi danno retta
e, tra una lagna e l'altra il tempo vola.

Finalmente sono pronti, un bacetto,
faccio le ultime raccomandazioni,
li saluto, vado a rifare il letto,
raccolgo le magliette, i pantaloni,
le scarpe, le ciabatte, i pedalini
buttati a vanvera dalla sera prima,
matite, quaderni, giornalini,
già sono stanca ed è appena mattina.

Mi siedo un attimo per la colazione
poi via i panni nella lavatrice,
attacco l'acqua, spingo il bottone,
passo lo straccio, la lucidatrice.
pulisco il bagno, mi dò una lavata
nel frattempo il sugo è messo sù,
mi vesto, mi dò una pettinata,
di corsa a far la spesa scendo giù.

Ecco il dilemma, che far da mangiare?
il pollo oramai ci ha nauseati,
se prendo il pesce me lo fan buttare
la solita fettina ci ha stufati.

Ho deciso, farò lo spezzatino,
compro la pasta, il pane, il prosciutto,
la frutta, la verdura, un bocconcino
mi sembra d'avere preso tutto!

Sono le dieci, devo rientrare,
poso la spesa, prendo il tegame,
taglio la carne, comincio a cucinare
a mezzogiorno lui rientra con la fame.

Pulisco e lavo un cespo d'insalata,
la carne sta cuocendosi da sola ,
la lavatrice intanto si è fermata
metto i panni nella bagnarola.

Vado in terrazzo, li appendo allo stendino,
torno in cucina, prima di apparecchiare
lavo le tazze che stan sul lavandino,
metto l'acqua sul fuoco a riscaldare.

Mancan dieci minuti a mezzogiorno,
l'acqua bolle, butto giù la pasta,
dal lavoro lui fra poco fa ritorno
se non è pronto certamente protesta.

Entra, si siede, eccolo servito
mangia di corsa, di tempo ne ha poco,
io invece ancora non ho finito
di stare a combattere col fuoco.

Appena ha mangiato mio marito
ecco i bambini, ecco la confusione,
ancor non entrano e già sono in attrito
per i programmi della televisione.

Ancor deve posare la cartella
il maschio già reclama da mangiare,
subito gli fa eco la sorella
che si diverte a farlo arrabbiare.

Hanno finito il pasto i signorini,
resto da sola tra piatti e bicchieri,
poi pentole, padelle, tegamini,
sempre così sia oggi come ieri.

In un'ora la cucina rigoverno,
finalmente posso mettermi a sedere,
già il maschio aspetta col quaderno
il problema mi deve far vedere.

Mentre tento di dargli una occhiata
la bambina già chiede il panino,
la voce alla TV è tutta alzata,
se la abbasso combinano un casino.

La testa mi sembra un pallone,
prendo una sigaretta, me la accendo,
prendo i panni da dentro il cassettone
per vedere di far qualche rammendo.

Raccolgo quelli stesi, sono asciutti,
attacco il ferro, gli dò una stirata,
la sera porta riposo quasi a tutti
per me è ancora lunga la giornata.

Ancora devo preparare la cena,
ricucinare, riapparecchiare,
di mezzogiorno si ripete la scena
tegami tegamini da lavare.

S'è fatta notte, sono stanca morta
i bambini finalmente stan dormendo,
qualcuno aspetta, me ne sono accorta,
non avrò pace nemmeno se mi stendo.

La mia giornata è sempre così lunga,
il bello che mi ha detto una signora
quando ha saputo che ero casalinga:
" Cara, beata lei che non lavora!"....

1981, da : Vita e Lavoro







giovedì 18 giugno 2009

Al contadino romagnolo (81)


Tornando all'antico


Svolgi il più antico tra i mestieri
anche se tale non è considerato,
per secoli, millenni, fino a ieri
interi popoli hai solo tu sfamato.

Della natura amico e compagno,
la trasformi a tuo uso e piacere
ma non per questo tu le arrechi danno
pur se ne cogli il mangiare ed il bere.

Sono finiti i tempi dell'aringa
appesa al filo sopra la polenta,
quando usavi un cordone come stringa;
almen da noi quell'epoca si è spenta.

le macchine ora fan qualunque cosa,
cogliere, arare, mietere, zappare,
se la tua vita è sempre faticosa
è dovunque  fatica il lavorare.

O... quanto tempo hai trascinato tregge
in dirupi scoscesi, o in mezzo al fango,
e da bambino tu hai badato al gregge
ché la scuola non era del tuo rango.

Non serve a nulla -diceva il padrone-
che il figlio tuo debba andare a studiare,
non ne vedo il motivo, la ragione,
se nella vita lui dovrà zappare!

Tu sei analfabeta ma ugualmente
sai governar le vacche, sai vangare,
sai quand'è ora di gettar la semente,
sai innestar le piante, sai potare.

Allora nacque il detto popolare
le scarpe grosse col cervello fino,
solo le scarpe tu dovevi usare
e rimanere sempre contadino.

Quando che per andar nel ravennate
avesti forza a ribellarti agli avi,
-vecchie generazioni rassegnate-
sapevi bene quello che lasciavi.

Dicevano i padroni: -lo vedrai,
che quando avranno fame torneranno!-
da allora questo non successe mai
ed i poderi alla malora vanno.

Se or ritorni a fare  una passeggiata
di domenica coi tuoi nipotini
trovi una bella strada che è  asfaltata
ma non ritrovi più i contadini.

Là, dove un giorno c'erano i poderi,
rustiche catapecchie, diroccate
c'hanno visto la vita fino a ieri
or dall'erbacce sono avviluppate.

Non s'ode più alcun grido,
nemmeno un can che abbaia,
le serpi han messo il nido
là dove c'era un giorno l'aia.

Dov'è il coltro c'affondava il solco?
il vomere che girava la zolla?
quei buoi che incitava il bifolco
e stanchi riportava alla stalla?

Raccogli un umile fiore
e la nostalgia ti coglie,
fu qui che cogliesti l'amore
con lei che ora t'è moglie.

Quando vent'anni fa te ne partisti
il medio evo qui avevi abbandonato,
ora ti guardi intorno, hai l'occhi tristi,
nemmeno quello vi hai più ritrovato.


da: Vita e Lavoro; 1981
alla fine degli anni 50 ci fu un esodo dalle
colline romagnole verso le fabbriche e gli
impianti petrolchimici di Ravenna.


venerdì 12 giugno 2009

IL PREZZO (80)


Sono nato a guerra finita,
ho vissuto una vita di pace.

Quanti orrori,
quanti crimini orrendi
han per questo vissuto i miei avi.

Hanno il seme dell'odio
seminato e raccolto
ritrovandosi su d'ogni sponda
con montagne di morti,
tra fiumane di sangue,
con brandelli di storia
incendiata e travolta.

Ecco il prezzo tremendo
per i miei sessant'anni di pace
in un mondo distratto
che non sempre ascoltar sa la storia.

22-05-2005- da:Ricordi d'Amore




NIDO D'AMORE (79)


La litoranea, là, tra lago e mare,
rettilineo crinale sulle dune,
brune colline effimere, che al vento
si fanno modellar perpetuamente.

Ad occidente il mare
(là dove il vento nasce)
che l'eterna canzone sua diffonde
mentre gioioso Zefiro
a spruzzare di sabbia si diverte
la lunga linea nera dell'asfalto;
sull'altra sponda
fa inchinare le chiome ai pini nani
e danzare il ginepro.

Gli aghi della ginestra
bucano le frondose
luccicanti nuvole del leccio
mentre l'agave innalza
di tanto in tanto un fiore
a conquistare il cielo.

Scendendo al lago
si fan più folti i pini
e più robusti;
artefici e custodi
d'un invitante, soffice tappeto.

Eccola la palestra
del nostro primo immacolato amore.
15-03-2005; da : Ricordi d'Amore

DOLCE SOGNO (78)


Sento il fragore dell'onda
che spumegiante e distesa
si spegne lungo la sponda
e poi dal mare è ripresa.

Sento la brezza salata
che i capelli mi sfiora
mentre la sabbia bagnata
altr'onda ricopre ancora.

Ogni rumore ora tace,
che parla c'è solo il mare
in questo mondo i pace
fatto per chi vuol sognare.

Or s'ode un lieve sussurro
che palpitare fa il cuore,
nel cielo limpido e azzurro
appare un grande bagliore.

Lento lo sguardo rigiro
per scorgerne la sorgente
e s'ode un nuovo sospiro
che più vicino si sente.

Eccolo il sublime viso
di lei che m'è or vicina
con il suo dolce sorriso
d'una innocente bambina.

Con gli occhi neri, lucenti,
desiderosi d'amore,
mentre le labbra in avanti
mi danno il loro sapore.

Tutto scompare d'intorno
anche il fragore del mare
in questo splendido giorno
fatto per chi vuol sognare.

!967 - da: Vita e Lavoro
periodo militare.


MORTE DI UN DROGATO(77)


Tutti ne parlano sommessamente
come fosse stato un delinquente,
quasi che parlarne sia peccato;
anche da morto l'hanno emarginato.

L'han trovato chino, sul volante
come dormisse, e lì, poco distante
la siringa del tragico infuso,
paradiso per chi si sente escluso.

Ha trovato la pace finalmente
e lo sciacallo perso ha un cliente,
altri cento saranno adescati
non c'è difesa per emarginati.

E' già segnata la loro amara sorte,
hanno firmato la condanna a morte,
la società impotente e sgomenta
altro non fa che tenere la conta.

aprile 1981, da: Vita e Lavoro

martedì 9 giugno 2009

SODALIZIO PERFETTO (76)


Gente che ostenta il lusso
in un mondo di plastica e lustrini,
con eruzioni di finti vulcani,
di fronte ad una corte
compiacente e servile,
ad una chiesa
benedicente e plaudente,
fin quando il megalomane sovrano
è disposto a prostrarsi
al potere "divino".

Divino? Una chiesa
che sempre più alla terra
con le unghie s'aggrappa.

Sodalizio perfetto
per continuare nell'orgia d'un potere
che beffardo minchiona
tanto i poveri di spirito
quanto un popolo
dalla propaganda ubriacato.

febb. 2009- (dopo il caso Eluana Englaro)
da:Gocciole Dorate

venerdì 5 giugno 2009

MINISTRO IN PARADISO (75)

QUANDO ANCORA C'ERA LA D.C.

Appena morto partì pel Paradiso,
era sicuro d'averlo meritato,
San Pietro disse:-Alt! dov'è l'avviso?
Lei certo l'indirizzo s'è sbagliato!

Ma non può essere, io sono credente,
alla domenica andavo sempre a messa,
di male non ho mai fatto niente,
telefoni a colui che mi confessa!

San Pietro allora prese il registro:
-Vede signore, qua c'è scritto tutto,
lei sula terra faceva il ministro
e a tempo perso faceva il farabutto.

-Sono calunnie di qualche comunista
ma voi non crederete a quella gente,
sono stato generoso, altruista,
m'ha dato ragione l'inquirente!-

-Signore mio qui non è al governo,
per me i ministri son come tutti quanti,
non si sbaglia mai il Padreterno
a giudicare se diavoli o se santi!-

-Ma sù San Pietro che noi c'intendiamo,
sono stato un buon democristiano,
in comune gli stessi amici abbiamo,
ti saran grati se mi dai una mano!-

-Ehi giovanotto...ti va di scherzare?
io son cristiano e non democristiano,
la merda al cioccolao non mischiare
o ti riempio di calci il deretano.

Qui non s'accettano raccomandazioni
e delle bustarelle facciam senza,
si prendon solo le prenotazioni
perciò sparisci perdo la pazienza.

Il posto tuo sta giù nell'Inferno,
già c'è Caronte in barca che t'aspetta,
Minosse ti darà il giudizio eterno,
qua la giustizia non è una barzelletta.

1981-da:Vita e Lavoro


L'AUTISTA VELOCE (74)


Corre veloce, sull'asfalto,
come un audace guerriero
intento a dare l'assalto
a misterioso maniero.

Nell'armatura sua, di latta,
sopra cavalli rombanti
fa che nessun mai lo batta;
guai a passargli davanti.

Quando ha la precedenza
e tu gli tagli la strada
vien colto dalla iolenza
come sguainasse la spada.

Eppure è d'indole mite,
a piedi è un vero signore,
mai a cercato la lite,
se capita nell'ascensore
ti tiene aperta la porta,
ad entrare per primo t'invita,
se una signora ha la sporta
l'aiuta nella salita.

Rieccolo nuovamente
seduto innanzi al volante,
ora non vede più niente,
si sente troppo importante.

Parte di scatto, veloce,
vola più forte del vento,
forse a comprare una croce
da aggiungere al camposanto.

07-10-1981- da Dolce Sarà la Sera

M'HANNO RUBATO il mare(73)

Via Catullo, Pomezia

M'hanno rubato il mare;
montagne di cemento
or fatte paravento
m'han cancellato il gusto di sognare.

Non vedo più lampare
ma muri, cento a cento
d'umano accampamento.
Altri al mio posto potranno sognare.

28-03-1998; da:Dolce Sarà La Sera

giovedì 4 giugno 2009

AL MURATORE (72)

PER NON DIMENTICARE

Hai allineato mattoni
a migliaia, forse a milioni,
quintali di cemento hai armato,
montagne di calce hai impastato,
quanta col solo sudore
o muratore?

Il sole t'ha cotto la schiena
mentre col badile, di rena
ne riempivi carriole,
e assotiliavi cazzuole
con orgoglio nel cuore
o muratore!

La calce le mani t'ha roso
col volto abbronzato, grinzoso,
somigli ad antico soldato,
per elmo un giornale piegato.
Sei stanco ma sereno in cuore
o muratore

Nel tascapane il gavettino,
la solita bottiglia di vino,
per tavola due assi
per sedia due mattoni oppure sassi;
la fatica migliora il sapore
o muratore.

Quanti muri hai eretto
piano su piano, sino al tetto,
umili case, possenti edifici,
aule, appartamenti, uffici,
senza far tanto rumore
o muratore.

E vilette, e capannoni,
e fabbriche, e chiese, e prigioni
e caserme, ed ospedali
e stalle per animali,
si pena, si gode, si muore
nell'opere tue; muratore.

Su e giù per le scale,
ti fermi se c'è un temporale
e speri che presto si plachi
oppure i soldi son pochi
se fai poche ore
o muratore.

Sei stanco sull'impalcatura
è pronta di già l'armatura,
non puoi chiudere la giornata
se prima non fai la gettata,
lavori da più di dieci ore
resisti o muratore.

Raccogli i ferri del mestiere,
metro, piombo, sparviere,
livella, secchio, martello,
piccone, spago, scalpello
e, quando ti lascia il vigore
appendili al chiodo; muratore.

Nessuno più oggi lo brama,
ognuno va in cerca di fama,
si pensa solo a guadagnare
senza voler mai sudare.
Del lavoro è amaro il sapore,
lo sai bene tu....muratore.

1981- da: Vita e Lavoro











PAPA' COS'E' un ciabattino? (71)

Libero Limoncini (Sgalin) Rocca San Casciano

Filastrocca del ciabattino


RICORDI DI UN TEMPO CHE FU'


M'ha chiesto il mio piccolino:
-Papà, cos'è un ciabattino?-
Ricordo che ero bambino,
ricordo di un ciabattino
che chino su d'uno sgabello
usava trincetto e martello
in una stanzetta piccina
al lume d'una lampadina
accesa da mattina a sera
pel tanto buio che c'era.

Pieno d'arnesi il deschetto;
lesina, raspa, bussetto,
forbici, spago, bullette,
tenaglia, pece, solette,
e scarpe a montagne buttate,
lacere, rotte, sfondate,
tra polvere e ragnatele
senza più ne tacchi ne suole.

Al muro era appeso un lunario,
ancora non c'era l'orario
e, quell'omino paziente,
ogni giorno era presente.

E sandali, e scarpe e scarponi,
sembravan non esser più buoni,
ridotti a povera cosa,
buttati così alla rinfusa,
paio per paio raccattati
venivano rigenerati,
tornavano ad essere belli
da non sembrare più quelli,
non fossero stati mai messi,
non fossero sempre gli stessi.

E ticchete, tacchete, ticchete,
e tacchete, ticchete, tacchete,
batteva il martello la suola
e la rifiniva la mola
dopo che appoggiata nel petto
rifilata l'aveva il trincetto,
la spazzola velocemente
riportava la pelle lucente.

Ora è una bella vetrina
dov'era quella stanzina,
in mostra, bene allineate,
le scarpe mai adoperate
che fanno l'occhietto al passante
perché ne diventi acquirente.


E' morto quel ciabattino
che a tanti addolciva il cammino.
Papà, dov'è quel deschetto?
e la lesina con il trincetto?
Buttati da qualche parte
o chissà...al museo dell'arte.

1981- da: Vita e Lavoro






AL SALDATORE..(70)

Pegli, cantiere di Multedo ,1963

PER NON DIMENTICARE

Sulle incandescenti virole
quanto sudore hai versato,
lo schermo in testa, là, sotto il sole,
il vetro spesso si è appannato.

Quanti elettrodi interminabili
lunghi come l'attesa
hanno fuso le mani tue, abili
quasi con tacita intesa.

Già provato dall'arco lucente,
come dardo, l'occhio t'ha punto
tante volte la scoria rovente,
ha alle lacrime dolore aggiunto.

Del fumo l'acre sapore
lo stomaco ha spesso saziato,
la tuta rubato ha l'odore
al ferro da tempo ossidato.

Saldatore, hai unito continenti
con i tubi degli oleodotti,
nel deserto hai creato monumenti
che rischiarano ora le notti.

Hai saldato gli scafi di navi,
le fusoliere dei reattori,
per chilometri hai tirato cavi
con il vento, con l'acqua, là fuori.

Hai coperto come un bandito
bocca e naso col fazzoletto,
e dalla cisterna sei uscito
come dal camino sul tetto.

Hai tagliato in buie officine
profilati, tondini, quadrelli,
a chilometri hai fuso bobine
pe saldare ringhiere e cancelli.

Le tue mani che hanno creato
sono vuote, non hanno milioni,
al destino non gridan: Reato!
ma ne accettano le condizioni.

Hanno visto tramonti dorati
i tuoi occhi che han lacrimato,
han goduto dei monti e dei prati
e per questo non odiano il fato.

La tua vita è tutta una guerra
ma che lasci alla fine agli eredi?
Non hai soldi, ne case, ne terra,
non hai nulla allora ti chiedi?

Tu gli lasci la forza dei giusti,
la tenacia di lotte possenti,
la dignità che sempre tenesti
per non inchinarti ai potenti.

gennaio 1981- da Vita e Lavoro








AL DONATORE (69)


Una goccia di sangue
una goccia di vita,
una bimba che langue
presto sarà guarita.

Tu lo sai donatore,
forse lei non lo sa,
è bastato il tuo amore
ancor sorrider potrà.

E' ignoto il tuo gesto,
tu encomi non chiedi,
solamente fai questo
ché all'amore tu credi.
febb. 1981; da Vita e Lavoro

C'ERI TU, AMORE (68)


L'alato cavallo del tempo volava leggero.
Nel vento, di nuvola l'ali scioglieva;
volava sereno,
senza fretta ne freno,
senza chiedere asilo,
sopra l'onde leggere
sia del mar che dei prati,
sia dei campi dorati.
Sfiorava le cime sempreverdi di abeti;
la notte degli astri carpiva i segreti.

Era libero, "Libero era il suo nome.

Libero come acquazzone d'agosto,
imprevedibile, imprevisto,
Libero, come il canto
melodioso dell'usignolo,
Libero come il ghibli
tra le dune del deserto,
Libero, come dell'eco la risposta.

Di tungsteno il dardo rovente
al cuore lo colpì.

Cadde all'istante.

Si risvegliò in una gabbia d'oro
con tappeti di viole.

Accanto c'eri Tu... Amore.


a Clementina Natale 85.
da: Dolce Sarà la Sera.

mercoledì 3 giugno 2009

COM'E' LONTANO..(67)


Com'è lontano il tempo
allor che dir "Ti Amo"
aveva il senso dell'eternità.

Non avevano prezzo
quelle brevi parole;
restavan custodite
nello scrigno del cuore.
Scrigno blindato come cassaforte;
Amor soltanto
sciogliere poteva la combinazione.

I falsari hanno l'etere invaso.

Quanti "Ti Amo"
con modesto prezzo
si trovan sul mercato
c'hanno valore d'un attmo soltanto?

Ma un diamante
mai diverrà fondo di bicchiere.



7-01-1985- da:Dolce Sarà la Sera

DOLCE SARA' LA SERA (66)


Il nostro giorno è stato cupo, Amore;
troppe le nubi ad oscurare il cielo
per nascondere il sole dei tuoi occhi.

Ancora non è sera.

Mai della primavera
il profumato tepore gustammo;
già imperversava della tempesta il vento.

Mai ci offrì l'estate
gli spumeggianti flutti,
ne le spiagge assolate;
sempre incombeva l'inchiostroso cielo.

Ancora non è sera
ed uno squarcio
preludere par voglia il ciel sereno.

Esploderà il sole dei tuoi occhi;
tingerà di porpora il tramonto
prima che il mar l'inghiotta.

Dolce sarà la sera.



14-12-85-a Clementina
da: Dolce Sarà la Sera

SOGNO D'INCANTO (65)


Che sogno d'incanto!
come ogni notte ti dormivo accanto
e, come in realtà spesso succede
ho comincato con lo sfiorarti un piede.

Il mio corpo come calamitato
al corpo tuo s'è avvicinato;
già m'aspettavo d'udire la tua voce:
-Stasera non mi va!, Lasciami in pace,
son tanca morta, ho le ossa rotte,
perciò ti prego, dormi buonanotte!-

Dalla tua bocca non uscì parola,
solo un gemito lieve e le lenzuola
scostasti in fretta, offrendomi supina
la tua calda pelle di bambina.
Non era più la moglie, era l'amante
a dissetarmi, meraviglioso istante!

Sino ad allor quel corpo m'era noto
gelido, qual se cor non fosse in moto,
or m'appariva caldo, appassionato,
d'amor desideroso ed assetato.
"Ti amo amore, amore anch'io ti amo,
fa che non s'oda di realtà il richiamo!"

Nel sogno allora sembrai risvegliato
che mi chiedevo: "forse avrò sognato!"
ma il corpo tuo ben saziato e lasso
giaceva meco più vicin d'un passo
candido come un marmo del Bernini,
soffice più di soffici cuscini.


Ahimè ! Crudel risveglio del mattino,
vederti addormentata a me vicino,
accorgersi che tutto è stato un sogno....
Ti Amo Amore, d'amarti ho io bisogno.


1985 - da: Dolce Sarà la Sera



QUANTE VOLTE (64)


Quante volte hai venduto l'amore
a colui che a parlar ti disprezza,
quanta gente ha raccolto il tuo fiore
senza renderti mai una carezza.

Quante volte hai avuto paura
tu, che all'amplesso ciascuno inviti,
tu, così provocante, sicura,
giovani, vecchi, scapoli, mariti,
compran da te ciò che il mondo gli nega,
un attimo li porti in paradiso,
tu sei il salvagente per chi annega
eppure il nome tuo spesso è deriso.

"Puttana" questo nome vilipeso
nel dizionario l'han dimenticato,
il senso del pudor si sente offeso,
ha fatto come fe' Ponzio Pilato.

In pubblico, per non sembrar volgare
la gente bene ti chiama "donnaccia"
gode con te, poi si fa confessare
per salvarsi la coscienza e la faccia.

Hai vent'anni, ti senti distrutta,
ed ami un uomo, il tuo protettore;
non protegge chi per strada butta,
lui non ti ama, è uno sfruttatore.

Tu lo sai bene, indietro non si torna,
il tuo destino è da tempo segnato,
e la società accetta come norma
ciò che vorrebbe veder cancellato.


marzo 1981- da Vita e Lavoro






SEDICI ANNI, Vent'anni dopo (63)

Trecate 1963

PER NON DIMENTICARE

Era l'età migliore;
quando i primi piaceri
assapori dell'amore
e ancor non hai pensieri.

E' duro il lavoro in cantiere
ma se il morso del lupo hai provato
la fatica ti sembra un piacere
quando sai che sarai ben pagato.
La trsferta copriva le spese
d'una vita modesta ma sana,
pochi vizi, non tante pretese,
si ballava ogni settimana.
M'avevano affidato un manovale
addetto a togliermi la scoria,
volto scavato, dall'età irreale,
occhi profondi, specchio d'una storia
di miseria, di rassegnazione,
d'aride terre dal sole bruciate,
di riverenze, di umiliazione,
di care persone abbandonate.
Con quel suo misero salario,
perché trasferta lui non conosceva,
la sua vita era un unico calvario
al sud moglie e figli manteneva,
s'era spezzato un mondo secolare,
quello era il duro prezzo del riscatto
contro mafie, paura di lupare;
era ancora lontano il sessantotto.
L'Italia industriale era esplosa,
per tutti la tivù non più una favola,
e questa dipingeva tutto rosa,
nessuno consceva ancora Avola.
Era scoppiato il boom, quanto lavoro,
non c'era allora cassaintegrazione,
chi faticava, chi faceva danaro,
nessun parlava ancora d'inflazione,
tutti cercavano lo stabilimento,
chi abbandonava il sud, chi la campagna,
non si parlava ancor d'inquinamento,
quando la pancia è piena non si lagna.
Valletta preparava il nuovo impero;
epurazioni, poi la schedatura,
non c'era terrorismo rosso o nero,
l'unico Scelba a mettere paura.
L'azienda per la quale lavoravo
era la SAIPEM ai tempi di Mattei,
ogni volta che cantiere cambiavo
nuovo rapporto iniziavo con lei.
Non sono lavativo, tu lo sai,
la settimana era di sei giorni
ma festa non dovevi fare mai,
se non ci credi basta che t'informi.
Alla domenica io disertavo,
solo per questo diventai ribelle
e, mentre a desinare m'avviavo
fu proprio una domenica di quelle,
vidi la campagnola del cantiere
frenar davanti a me: Quale mistero?
"Cappelli!" mi disse l'ingegnere
ti ho segnato sopra il libro nero!

Lo chiamavano boom, te lo rammenti?
Mai s'era letto ancora congiuntura,
di anni in meno ne avevo venti
ma la pagnotta era sempre dura.

febbraio 1981, da Vita e Lavoro




IL SERBATOIO maledetto (62)

Trecate 1963 PER NON DIMENTICARE


Era il sessantatre, là in quella valle
dove s'alza la nebbia ogni mattino,
dove per mesi non escon le stelle,
dove il Piemonte si ferma al Ticino.

L'inverno fu assai rigido, rammento
gli alberi che parevan di cristallo,
i fili tesi parevan d'argento,
il lavorar non era tanto bello.

Stavamo costruendo i serbatoi,
immensi monumenti a quel progresso
da ognun bramato allor, anche se poi
le conseguenze le paghiamo adesso.

Quella raffineria già funzionava,
na cattedrale inponente ed orrenda
che sulla valle intera dominava
come castello d'oscura leggenda.

Dei serbatoi, la lor possente mole
lì, dal nulla, s'alzava lentamente,
se i carpentieri posavan virole,
le univan saldatori alacremente.

Minuscole fiammelle, luccicanti,
in un frinir continuo di cicale
fendean l'aer da mesi, incessanti,
come stelle che il lor mirar fa male.

Al fragor assordante di mitraglia
fatto al martellar di scarpellini,
la mazza, come cannone in battaglia
rispondeva dai serbatoi vicini.

Al lento progredir delle virole
internamene un ponte le seguiva,
traballante, di due tavole sole,
e sopra d'esso noi si lavorava.

S'alzava il serbatoio, così il ponte
che per salirvi già era un'impresa
peggior di chi scalar volesse un monte,
e non più facile era la discesa.

Finalmente, sulla cima arrivati
di sollievo si tirava un sospiro,
al vuoto, piano piano, abituati,
tranquillamente si andava in giro.

Un dì precipitò uno scalpellino,
scivolò giù tra il ponte e la parete
noi tutti allor parlammo del destino,
lui non morì, sebben l'ungesse il prete.

Lui era un gigante, grande e grosso,
ma dopo l'incidente era calato
più di metà, ridotto pelle e osso,
oltre agli arti inferiori, mutilato.

Il destino è crudel, naturalmente
colui che è spettatore solo assiste
e a se ripete: "non posso far niente"
anche s'ha il cor sinceramente triste.

Qualche giorno, passata la paura,
non posso dir vi fosse un'ispezione,
di certo non cambiò l'impalcatura,
sempre due tavole e solo un cordone.

Come per ironia della sorte
numero tredici era numerato
quel serbatoio, e in seno suo la morte
tesseva ancora gelido l'agguato.

Già l'ultime virole eran posate,
mancava poco ancora da saldare
prima di tirare su le capriate,
gli uccelli vedevam bassi volare.

Dopo mesi di fatica e sudore
avevam l'ansia di vedere il tetto,
un grido, un tonfo; raggelò il cuore;
si disse: "il serbatoio è maledetto!"

Nessuno c'accennò a far protesta,
l'ordine fu di rinforzare i ponti
ciononostante stavolta l'inchiesta
trovò qualcuno che pagasse i conti.

Essendo quello un cantiere imponente
qualcuno disse:- è cosa naturale
che succeda ogni tanto un incidente,
rientra tutto nella percentuale.-

La carestia subita nel passato
di anni senza pane ne lavoro
aveva l'operaio rassegnato;
tabù parlar d'ambiente di lavoro.

Era il sessatatré, in quel momento
nessun parlava ancor di prevenzione,
ogni energia e qualunque strumento
tutto al servizio della produzione.

L'operaio, colui che comadava,
senza una competenza o cognizione
allo sbaraglio spesso lo mandava,
sempre lo stesso fine...produzione.

Come gli spicchi d'una torta immensa
le capriate tagliavano il cielo,
era svanita ormai la nebbia densa,
la calda estate sciolto aveva il velo.

Ancor grande di cielo era la fetta
quando il sostegno al centro venne tolto,
forse perché qualcuno aveva fretta,
certo perché non ragionava molto.

Come immenso cilindro di cartone
cedette al peso ch'era sbilanciato,
si ripeteva la maledizione?
non si poteva contrastare il fato?

Stavolta di fortuna si parlò
perch'era vuoto sol da qualche istante
il serbatoio quando allor crollò,
miracolo! Nessun si fece niente.

Non era il serbatoio maledetto,
bensì il modo come si lavorava
a non tener della vita rispetto,
qualcun sull'altrui pelle speculava.

Lunghi anni di lotte e di conquiste
hanno tracciato il solco da quei giorni,
ma c'è chi non s'arrende, ancora insiste
perché magari a quei tempi si torni.

1981 da: Vita eLavoro
nella foto il serbatoio N° 13 , raffineria di Trecate