venerdì 27 marzo 2009

GITA A PONZA (11)

In sessant'anni non era mai successo
di stare un giorno intero in mezzo al mare
in lieta compagnia, navigare
sull'acqua che rifrange ogni riflesso.

Scivola via la barca con successo
tra verdi e azzurri, tutto un luccicare,
tra scogli e faraglioni da schivare,
penetra anfratti dall'angusto accesso.

La tavola del mar pare un biliardo
con l'isole vicine a far da sponda,
il cor si gode ovunque sia lo sguardo.

Un motoscafo passa, increspa l'onda,
brucia del sole il caloroso dardo,
ogni cupo pensiero in mare affonda.

09-09-2007-Per Elisa

giovedì 26 marzo 2009

L'operaio III(10)


64.................................................

Fuoco che scoppiettante nel camino
tenevi il gelo fuori della stanza,
covavi brace per empir scaldino,
con lena nuova la novella danza
senza indugi scioglievi quando nonna,
tua adoratrice, ti rinfocolava,
e, prona in te come nella Madonna,
Lei pensando, il rosario biascicava.
Nonna Letizia, quanta fede avesti,
tu che portavi il graffio della guerra,
quante le cose che tu m'insegnasti
hanno ancora valore sulla terra?
Povera nonna, non perdevi messa,
ne vento ne acqua o neve ti fermava,
temevi tanto l'avanzata rossa
ciò che in famiglia tanto si sperava,
Pacelli dié scomunica sicura
a tutti i rossi socialcomunisti,
tanti i bigotti a mettersi paura
e, nonna, tu ti buttasti con questi.
L'odio che allor sembrava essere spento
ritornò a seminarlo quel pastore
dimenticandosi dell'insegnamento
d'amor lasciato da Nostro Signore.
Popol che pesa ma non compra tutto
quel che si vende se ciò non gli aggrada,
popol che con sudore coglie il frutto
difficilmente lascia la sua strada;
fu così che la scomunica non valse
per chi vedeva un Dio senza colori,
un Papa Buono, cancellò rivalse
aprendo a chi mai s'era chiuso fuori.
Padre Anastasio, quel buon fraticello,
chiese a mia madre nella confessione:
-Per chi ha votato?- Lei - Falce martello!-
- Avrò pazienza, ecco l'assoluzione!-
Mia madre, donna energica, sanguigna,
rossa nel cuore, rossa nelle gote,
rossa come la terra di Romagna
che mai si stinge pur se si percuote.
Spirto tenace, solido, di roccia,
da secoli trascina mille mali,
s'uno s'allevia l'altro fuori sboccia
che per dottori non vi sono uguali,
nome d'amletica tragedia, immensa,
mai fù di pene il fardello vuoto,
se non temette mai la prepotenza
una cosa temette, il terremoto.
Il terremoto, quel che anticamente
del paese distrusse quasi tutto
tanto che fece un voto quella gente
ed ogni anno ricommemora il lutto.
Scrollò la panca, scosse la vetrina,
pietrificati poi fu un urlo solo:
- E' teremoot!- e l'eco fuori espanse,
tutti all'aperto ringraziando agosto,
chi strillò tanto, chi pregò, chi pianse,
lontan dai tetti per dormir fu posto
l'accampamento in orti, lungo il fiume,
quindici giorni, un campeggio forzato
dalla paura, e questo fece lume
su chi si era di coraggio gonfiato.
C'era un gigante, era un gigante buono,
a sentir lui spaccava tutti e tutto,
bocca tonante, fabbrica di tuono,
in quella prova se la fece sotto.
Il giorno in casa stando sempre all'erta,
ad ogni scossa un grido - E' teremooot!-
e quando a sera, ognun la sua coperta,
Cecco gridava - O riva! O riva e moot!-
Mia nonna muta, mamma stralunata,
mio padre calmo, ci faceva veglia,
quando l'ombra del sonno era calata
tornava a casa ad aspettar la sveglia;
allora conobbi in mio padre il saggio,
indifferente ai comuni umori,
sì che lo vidi eroe, pien di coraggio,
senza schernire chi tremava fuori.
Lui credeva in Bendandi, lo scienziato
che per le sue funeste previsioni
da Mussolini venne minacciato;
( dittatore non accetta ragioni).
Il faentino sentenziò assestamento
e assestamento fu, perché scemando
il fenomeno andò sino al momento
che il senno ritornò, sparì lo sbando.
Socialista mio padre e l'influenza
per la sua fede, per il suo pensare,
fu di quel Pietro, sempre di Faenza
che masticò le delusioni amare. (156)
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diario in versi del secondo novecento



CIVITA di bagno regio (9)

All'improvviso appari, là, sospesa

come un'isola in mar, tra cielo e cielo.

Quale astronauta alla navicella

resti legata alla terraferma

da quell'istmo leggero, di cemento,

cordone ombelicale di salvezza

per preservarti a un mondo

che più non t'appartiene

Passato l'arco antico

torni padrona di quel tempo andato

nemico della fretta,

nemico di meccanici rumori,

estraneo a quel progresso

destino ineluttabile dell'uomo.

5-11-2005- Per Elisa

L'operaio II (8)


32...........................................................
Furon palestra il fiume ed il "Mercato"
l'un che da lavatoio allor fungeva,
l'altro perché rione dov'ero nato,
l'un l'altro da finestra si vedeva;
impero vario e vasto per fanciulli
e, se mancavan giochi fabbricati
non era impresa fabbricar trastulli,
di fantasia noi eravamo armati.
Ci bastava avere un pugno di mota
fare una conca, spiaccicarla al suolo,
ridurre in pizza la conca già vuota
poi vederla scoppiare verso il cielo,
quel ciak bastava a rallegrare il cuore,
cuor di fanciullo che ancora non pecca,
però già sa godere, e, con rumore,
esulta quando l'altro fa cilecca.
Non era tempo quello assai veloce,
passavan lenti giorni e settimane,
l'uomo portava bene la sua croce,
non tutti i giorni rimediava il pane.
Pane, ti ho visto allora lievitare
e poi, sopra un tavoliere impastato
da mani d'oro, porto ad infornare
sopra un'asse sulla spalla, allineato.
Sapore antico che più si rammenta
come l'aringa, come il castagnaccio,
come il paiolo pieno di polenta
che a girarla ti si stancava il braccio,
e di castagne la dolce farina
pressavamo in ditali come il gioco
che fanno oggi i bambini alla marina
e in pasticcini trasformava il fuoco. (64)
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Dal diario in versi del secondo novecento
Foto; La casa nel Mercato dove sono nato.

L'UOMO TORCIA (7)


S'è dato fuoco, non ha retto al peso
d'una precarietà fattasi eterna;
vedendo spegnersi l'ultima lucerna
s'è fatto torcia lui; così s'è acceso

Quello che aveva, tutto, lui l'ha speso
n'un biglietto d'andata per l'Averno,
lasciando moglie e figli in quest'inferno
paradiso per altri,; lui s'è arreso.

C'è stato un fuggi fuggi al funerale,
hanno aggredito il sindaco, percosso,
lui, che era in prima fila, bene o male.

Il popolo s'indigna a più non posso
se la notizia resta sul giornale;
basta levarla e tutto vien rimosso.

Napoli sett.2002 /Campidoglio 24-03-2009 . Ieri come
oggi, a nessuno di queste torce umane mai verrà dedicata una piazza

mercoledì 25 marzo 2009

ESSERE DI SINISTRA (6)


Essere di sinistra! Che domanda,
io ci ho creduto e ci credo ancora,
ma poi mi guardo intorno e penso allora,
perché la destra sempre più comanda?


A destra c'è una grossa corazzata,
noi, un barcone con cento barchette
che si spintonano perché stanno strette
e, nel barcone c'è gente infiltrata.


La corruzione a destra è una bandiera,
ma se poi guardo dentro casa mia
ci vedo i disonesti far carriera.


Non rassegnamoci alla malinconia,
questa non è una buona consigliera,
sù gioventù; coraggio! Pulizia.

febb. 2009
foto Man. CGIL circo massimo 4-ap.

CIAO LUANA (5)


Pensa Luana quanta brava gente
si preoccupa per te, ti vuole bene,
rosa appassita, a forza si mantiene
e al Padreterno non importa niente.


Salma imbalsamata, che non sente
che c'è un papà che soffre mille pene,
e, deve sopportar pure le iene
che lo fanno passar per delinquente.


Persino i ministri in parlamento,
proni alla campanella vaticana
spingono perché duri quel tormento.


Sarà divina ma non certo umana
quella pità che vuol l'accanimento
per far viva la morte, ciao Luana.

Dedicata a Peppino Englaro
feb. 2009

IL FARO (4)


Sulle colline vellutate e verdi,
soffice scrigno di silvestri macchie,
là, dove un giorno le dorate stoppie
eran padrone, adesso Tu ti perdi.
Non ti scomponi all'ombra dei ricordi
ne al logorare di un mondo che scoppia,
tutto s'avanza, tutto si raddoppia,
Tu non t'associ ai numerosi ingordi.

Furiosa è la burrasca della vita
ma Tu rimani faro nella notte
perché la rotta non venga smarrita.

Non cercheranno approdo in te le flotte,
ma, una barchetta vecchia, scolorita,
ti troverà, pur con le vele rotte.
Dedicata a Rocca San Casciano

TRAMONTO (3)

Se io non esistessi, questa sera
ugualmente tramonterebbe il sole
in un mare di nuvole distese,
abbacinanti per un lungo istante,
nell'ovattato rosso d'occidente,
tra profili di porpora dorati.

Gocciole dorate

L'operaio I (2)


CAPITOLO PRIMO

Nacqui al tornare della primavera
dopo un'inverno tenebroso e fosco
in quella terra generosa e fiera
ch'è l'appennino romagnolo e tosco,
dove il Montone ancora allegro scende
prima di giunger placido alla bassa,
là dove in macchia starna non s'arrende,
col sacrificio paga la sua tassa.
In condominio annidava lo storno
con le rondini, sotto i cornicioni,
sopra quei coppi rossi e tutt'intorno
indisturbati tubavan piccioni.
Era approdata la bianca colomba
da un lustro attesa sul pianeta intero,
quell'atomico fungo, orrenda tomba,
risvegliò l'uomo sopra un cimitero.
Era dell'odio terminata un'era,
non più l'olio di ricino, il bastone,
ne "Me ne frego" su camicia nera,
sembrò nel mondo germogliar ragione.
Se dell'odio era terminata un'era,
scarso era il pane, più scarso il lavoro,
ma primavera è sempre primavera
specie se poi l'inverno è stato duro.
Umile la progenie e tale il nido
ma mai che spento fosse il focolare
ne mai bestemmia o d'ira un solo grido,
mi fu maestro Amor per camminare.
Mia coetanea fu la novella Italia,
senza corona, senza più blasoni,
senza più duci o re, come me spoglia,
un popol partorì le sue illusioni. (32)

Da: Diario in versi del secondo novecento

LA CROSTA (1)


Che colpa ne ha il poeta
quando egli vede
quello che ad altri sfugge?

Fa comodo a tanti
non raschiare la crosta.
Favola